Di Carlo Pelanda (25-10-2008)
Tre azioni potrebbero attutire e gradualmente invertire la tendenza recessiva sempre più grave in Italia: (a) detassazione d’emergenza per imprese e famiglie affinché le prime mantengano investimenti ed occupazione e le seconde aumentino i consumi; (b) taglio del costo del denaro da parte della Bce per ridurre il costo del credito, dei mutui e dei debiti, tra cui quello dello Stato; (c) ricapitalizzaizone delle banche italiane affinché abbiano denaro sufficiente per erogare credito a prezzi ragionevoli. Ma nessuna di queste è in atto né, sembra, in preparazione. Perché?
Il governo deve fare i conti con l’enorme debito pubblico, la rigidità “politica” della spesa pubblica ed il tetto di deficit imposto dalle regole europee. Il suo spazio di abbattimento delle tasse è minimo. Se taglia spesa pubblica si ritrova sindacati e categorie colpite in ribellione. Se riduce le tasse senza tagliare spesa pubblica, incrementando il deficit annuo e il già enorme debito pubblico, oltre all’infrazione europea, e pazienza, accrescerà i dubbi del mercato sulla solvibilità dello Stato. Ciò sarebbe catastrofico. Inoltre il governo ha messo in riserva per l’eventuale ricapitalizzazione delle banche alcune decine di miliardi. Se li usa per la detassazione non li avrà per coprire l’emergenza bancaria, prioritaria su tutto il resto. Infatti Tremonti ha insistito nel recente passato per un “fondo europeo” di sostegno in quanto non vede vie nazionali di stimolazione economica. Commentate come volete, ma la realtà è che non possiamo aspettarci a breve stimolazioni fiscali di rilievo.
Proprio per
questo l’attenzione deve concentrarsi sulla seconda misura potenzialmente
salvifica, il taglio del costo del denaro. Perché
Ma se lo
stimolo fiscale e monetario non arriveranno o saranno
insufficienti o tardivi, che almeno le banche riprendano ad erogare credito.
Questo è il cuore che pompa sangue nel corpo dell’economia. Il sistema bancario
comunica che i soldi li ha, che non c’è restrizione
del credito e che tutto è a posto. Purtroppo, al contrario, sono innumerevoli
le testimonianze di imprenditori e famiglie che non
trovano credito o che lo trovano a prezzi di strozzinaggio. Si tratta di
“prudenza” bancaria o semplicemente del fatto che le banche non hanno soldi?
Sospetto la seconda possibilità, già emersa in una dichiarazione di Berlusconi poi non rinnovata. E
temo che azionisti e dirigenti di parecchie banche preferiscano restringere il
credito, mettere a rischio l’istituto e l’economia produttiva, piuttosto che
svelare un fabbisogno di ricapitalizzazione che, se
eseguito, cambierebbe i poteri azionari e i manager. Poiché
i fatti alimentano il sospetto,